Mancano poche ore all’apertura della 66ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nella frenesia lavorativa che caratterizza gli ultimi momenti, prima dell’inaugurazione ufficiale, mi reco presso la portineria del Palazzo del Cinema.
Ad attendermi ci sarà Roberto Sanoer, noto ai più come Sao. Con lui avrò il piacere di chiacchierare di questo grande evento per tutti gli appassionati di cinema e non solo, da un differente punto di vista. L’angolazione sarà quella privilegiata di chi è nato e vissuto in questo luogo magico e prestigioso che ospita fin dagli esordi questa manifestazione cinematografica.
Sao, in un certo qual senso è figlio d’arte. Suo padre Gildo è stato per anni il custode di questo immobile alquanto particolare e a lui è stata dedicata una targa di riconoscenza, che troneggia nell’entrata antistante la Sala Grande, la sala delle proiezioni più importanti.Non faccio in tempo a suonare il campanello, che Sao è lì pronto ad aprirmi. Forma fisica invidiabile (sarà merito del basket). Lineamenti ben marcati, ma smorzati da un dolce sorriso. Occhi penetranti alla Paul Newman e una grossa carica di simpatia. Insomma, se non avesse fatto il custode del Palazzo del Cinema, forse qualche possibilità di essere scritturato come attore ce l’avrebbe avuta.
Ci accomodiamo nella sua stanza al primo piano del Palazzo.
Solo a vedere le numerose foto appese alle pareti, dove è immortalato con chi ha fatto la storia del cinema, c’è da rimanere senza fiato.
Prendo spunto proprio da queste immagini per iniziare la mia chiacchierata con lui.
“Sao penso che nemmeno il grande produttore Dino De Laurentis abbia tante foto con altrettante celebrità del cinema. Cosa rappresentano per te questi scatti?”
“Ricordi, piacevoli momenti. Sai avere la possibilità di incontrare personaggi che fino al giorno prima hai visto solo sul grande schermo è qualcosa di magico. Poi se hai la fortuna, come me, di toccare con mano i tuoi attori preferiti le emozioni sono molto forti. Su tutti troneggiano e sono ancora vive le sensazioni provate di fronte al grande Robert De Niro e l’incontro con Martin Scorsese, uno dei registi che apprezzo di più.”
“A proposito di ricordi, tu praticamente sei figlio di questo Palazzo, che cosa, quali situazioni, rimarranno per sempre fissati nella tua memoria? C’è qualche aneddoto, anche parallelo alla Mostra del Cinema, che ci puoi raccontare?”
“La grande tribù della Mostra del Cinema arriva già a luglio. Sono tutti gli operai, gli allestitori, le manovalanze che devono preparare il grande evento, ma soprattutto è un gruppo di amici. Già perché alla fine ti ritrovi a vivere per un paio di mesi a stretto contatto con loro e posso garantirti che sono delle persone squisite, con alcune delle quali si è instaurato un rapporto consolidato. In particolar modo ricordo quando ero bambino, che ero un po’ la loro mascotte. Mi facevano giocare. Guardia e ladri tra i cunicoli del Palazzo usando gli allestimenti come le scenografie dei miei giochi di fantasia. L’importante era il lasciapassare – sono il figlio di Gildo – frase che sistematicamente sbagliavo dicendo – sono il papà di Gildo – il che spesso creava un po’ di confusione.”
“Addentrandoci nel cinema, da questo osservatorio privilegiato che è il tuo, secondo te si può ancora parlare di divismo, oppure la mediocrità degli attuali attori, non permette loro atteggiamenti quasi naturali adottati da star nel passato?”
“E’ il contrario di una volta. Oggi si atteggia a divo anche chi non ha fatto nessuna scuola di recitazione. Spesso e volentieri ci troviamo di fronte a delle meteore. Starlette, che dopo un improvviso picco di notorietà, affondano con tutti i propri limiti artistici. Comunque non facciamo di tutta un’erba un fascio, c’è ancora qualcuno di molto bravo. Per rimanere in Italia, Giovanna Mezzogiorno e Pierfrancesco Favino, sono due ottimi esempi.”
“Qual è l’edizione della Mostra del Cinema che hai maggiormente amato e per quali motivi?”
“Sicuramente quella del ’79. L’ultima di mio padre. Poi è quella che rappresenta la rinascita della Mostra del Cinema, dopo il periodo della contestazione. E’ stata quella della ripresa a tutti gli effetti di questa meravigliosa manifestazione, grazie al direttore dell’epoca Carlo Lizzani.”
“Cosa ne penseresti se un giorno uno dei tuoi figli ti dicesse che vorrebbe continuare questa tradizione di famiglia?”
“Oibò! Ma perché no, in fondo porterebbe avanti un lavoro che sia io, sia mio padre abbiamo fatto con molta passione. Forse sarebbe la volta buona per cercarmi una vera casa.”
“E se volesse fare l’attore?”
“Dovrebbe lavorare molto. Anche qui secondo me l’importante è che il motivo dominante che lo spinga verso questa professione sia la passione. Vedere il mestiere di attore come una scorciatoia per raggiungere fama e successo è molto pericoloso.”
“Comunque dì la verità, un pensierino alla carriera cinematografica non l’hai mai fatto?”
Dopo una grossa risata, una delle sue, quelle cosiddette contagiose, si ricompone e mi risponde.
“A dire il vero qualche comparsata l’ho pure fatta. Addirittura in passato ho ricevuto anche l’offerta come comparsa anche per un film di Tinto Brass, ma ero da poco novello sposo e dopo essermi anche consultato con mia moglie, ho declinato la proposta. Poi sai l’attore, chissà, manca la riprova di come sarebbe potuto essere e non ce l’ho, mentre ho una certezza, quella che sono felice della mia vita e della mia splendida famiglia.”
Squilla il telefono. Si allontana cinque minuti e poi tornando mi dice: “Mi dispiace, ma purtroppo mi sa che dobbiamo interrompere l’intervista, il dovere mi chiama”.
“Non preoccuparti Sao, per me era praticamente conclusa, anzi grazie per la tua disponibilità.”
“Questa interruzione comunque non è completamente negativa. Se mi segui forse riesci ad incrociare Giuseppe Tornatore.”
In un batter d’occhio chiudo il mio libro con gli appunti per l’intervista e riposiziono la stilografica nella sua custodia. Non c’è tempo da perdere, qui ogni istante è un frammento di celluloide che se ne va.
Ciak si gira!