E pensare che per un breve periodo, siamo stati pure colleghi. Io all’epoca rigorosamente in giacca e cravatta. Lui invece in t-shirt, bermuda e Birkenstock. Aveva capito prima di me che non è la forma quella che conta, ma la sostanza.
E lui di sostanza ne ha e come se ne ha. Già quando c’eravamo incontrati allora, dimostrava un forte senso creativo, di quelli che difficilmente si riescono ad imbrigliare in schemi predefiniti. Forse un limite, se devi eseguire dei lavori sottoposti a delle regole. Sicuramente un enorme vantaggio, se il tuo essere artista è l’elemento cardine della tua esistenza.
E poi qualche giorno fa mi arriva un invito. Presentazione del libro vincitore della XX Edizione del Premio Nazionale di Poesia Federico Garcia Lorca 2009, Torino: Non Avrei Mai Pensato di Diventare di Michele Morando.
Eccolo, lo ritrovo a distanza di anni. Certo non avevo bisogno di un premio per avere conferme sulle sue qualità, però la cosa mi fa piacere. Diciamo che è la giusta ricompensa ad un ragazzo che ha delle capacità. Sì, perché si tratta pur sempre di un poco più di un trentenne che usa la poesia (ma non solo come vedremo) per comunicare i suoi pensieri, le sue emozioni.
“Partiamo dalla fine. Ti ho lasciato a fare il grafico per il web e ora ti ritrovo poeta, nonché premiato. Allora Michele di cosa trattano queste poesie raccolte in Non Avrei Mai Pensato di Diventare?”
“Devo partire dall’inizio per risponderti.
Prima ti dico perché non faccio più il grafico. È strettamente connesso allo scrivere. Un giorno di 8 anni fa, mentre lavoravo al computer, ho avuto un attacco di panico. Di lì a poco, altri, fino ad arrivare a non resistere più di 5 minuti di fronte ad un computer. Ho deciso di smettere di farmi del male e ho venduto il Mac che avevo in casa, sostituendolo con una macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, un’anticaglia che ovviamente funziona ancora.
Ho cominciato a scrivere, raccontandomi a me stesso, partendo da questo spavento iniziale.
Le poesie della raccolta Non Avrei Mai Pensato di Diventare sono una parte del discorso che ho cominciato quel giorno. Le poesie trattano della sorpresa di esistere, delle cose di noi che scopriamo, lentamente, giorno dopo giorno, nel bene e nel male.”
“Mi sembra di cogliere che dalla tua privilegiata postazione di osservatore, fai una disamina disincantata sul nostro esistenzialismo, che rischia d’incepparsi nella sua mediocre routine quotidiana. Ma secondo te c’è un modo per riappropriarsi della propria vita e di vivere non in maniera distratta le relazioni umane?”
“Discorso delicato. Premettendo che la vita non è sempre uno spasso o una novità, ma è anche una noia e una rottura di balle colossale affermo quanto segue:
la mia posizione non è di privilegio perché è una precisa volontà che fa di me un osservatore. E di privilegi concreti non ne ho, ho lo stretto necessario. Una volta capito che non si vive di solo pane, mi sono sentito di inseguire la scrittura, fino a quando ha cominciato a mostrare i suoi meravigliosi doni.
Credo che la mediocre routine quotidiana ce la scegliamo noi.
C’è routine e routine. Ad esempio la routine di un uomo che lavora 12 ore al giorno, tutti i giorni, per disperazione, perché non sa cos’altro potrebbe fare è ben diversa dalla routine di chi lavora meno ma riesce a vivere il suo tempo con pienezza. Sono convinto che produrre e lavorare così tanto ci faccia del male. Non è ideologia la mia, ma esperienza sul campo.
Tutti abbiamo una routine ed è normale averla, anche utile. Sforzarsi di non averla è stupido. La differenza sta nella qualità della routine.
A chi si sente costretto in una routine quotidiana oppressiva, mi viene da dire di cominciare a cambiare. Serve coraggio, ma se una persona sta male deve farlo.
La distrazione delle relazioni umane è figlia della superficialità e la superficialità è data dallo sfruttamento dell’effimero. La gente ha paura di osservarsi a fondo, perché non ha gli strumenti per farlo.
La superficialità si combatte con la propria presenza, la propria coscienza, con una forma critica. Un modo per riappropriarsi dell’esistenza è essere critici nei suoi confronti. Il pericolo è di diventare superficiali nella critica. Per esempio quando si distrugge senza proporre, questo è negativo e serve a poco. Bisogna “distruggere costruendo”.
“Tu in passato avevi già incontrato la scrittura. Se non sbaglio già nel 2006 avevi pubblicato un libro che raccoglieva dei tuoi lavori. In cosa consisteva?”
“Era la mia prima raccolta di poesie. Avevo fatto una mostra con foto e poesie e avevo poi deciso di ricomporre tutto in un libro. L’ho stampato in poche copie grazie ad un amico che aveva una piccola stamperia e l’ho spedito a qualche editore. Dopodiché è stato ristampato Eugenio Rebecchi di Blu di Prussia (Piacenza). Da li è cominciato tutto, qualcuno in cui credevo mi ha detto: “Belle, continua.”
“Cosa rappresenta per te la poesia? La possibilità di mettere in versi i propri pensieri?”
“Non sono solo pensieri ma sentimenti. È un modo per condividere emozioni, per vedere se la gente è così distante come sembra. E la scoperta è che… no, non lo è. È solo drammaticamente distratta.
La poesia per me è silenzio. È così che la sento, come una perdita continua di parole. Teoricamente parlando vorrei che la mia poesia si facesse sempre più sintetica fino a raggiungere il silenzio, l’assenza di parole. Una delle poesie dell’ultima raccolta parla proprio di questo”
“Ma Michele Morando non è solo poesia. O meglio la tua “poesia”, intesa come sensibilità ad esprimere delle emozioni, trova anche altri strumenti espressivi, vero?”
“Nel disegno. Adoro disegnare e dipingere, ma disegnare e dipingere richiederebbero, per come li intendo io, un lavoro quotidiano e una dedizione totale, fatto di fatica e dispendio di energie fisiche e mentali non indifferenti. Oltretutto non ho uno studio dove poter lavorare. Ce l’ho avuto in passato, ed infatti ho realizzato alcune quadri ma ora mi è veramente impossibile. Senza un luogo dedicato non si può fare un buon lavoro.
Devo avere un spazio fisico e un luogo mentale per poter dipingere, uno spazio (non la camera dove dormo) per poter staccare da tutto e concentrarmi solo sulla tela o sul foglio. Spero un giorno di poterlo fare, vorrei fare il pittore e basta. Ma in un certo senso ho già cominciato, perché il lavoro di ogni giorno, quello che mi da il pane è fare le vetrate per le chiese, mi occupo dei progetti e dei bozzetti.”
“Parlami un po’ del disegno, della tua pittura. Che tecniche usi? Quali sono i temi trattati?”
“Non ho temi, che io sappia. Mi piace usare la penna bic e l’inchiostro per disegnare, l’olio e gli acrilici per dipingere. Sto cercando di capire quale mi sia più affine. Ma pure qui, torniamo al punto centrale, serve lo spazio minimo dove poter lavorare fino a trovare una strada e dei temi se vuoi. Fino a due anni fa condividevo con altri pittori un atelier ma non ero ancora pronto a sacrificarmi, pensavo a troppe cazzate che non servono se vuoi essere un pittore vero. Pensavo a divertirmi, ad uscire ecc. Adesso che saprei allegramente fregarmene di divertirmi un casino perché è sabato l’atelier non ce più e soffro come un cane.”
“E del cinema che mi dici? So che hai scritto e diretto alcune pellicole, una delle quali è stata presentata pure a Cannes.”
“Nel 2001 ho girato il mio primo video Panta Rei, dalla finestra di camera mia. Era la mia prima vera incursione artistica (per usare un termine comprensibile) nella realtà. Era la prima volta che esprimevo un concetto con il video. È stato emozionante, così cominciai a pensare di farne altri, di dedicarmi al video. Così ho scritto Il continente sommerso, con l’amico filosofo Federico Faccioli e ho cominciato così a lavorare duramente ad un cortometraggio con una struttura narrativa.
Dopo due anni di lavoro ho imparato moltissime cose sul cinema anche se il risultato è acerbo. Il nostro corto (dico nostro perché ho lavorato con persone splendide che l’hanno fatto gratis) è stato presentato a Cannes ad alcuni produttori e venditori. Ma non ha avuto fortuna.”
“Addirittura sei riuscito a portare il cinema in radio. Sembra un ossimoro, ma ce l’hai fatta. In cosa consisteva il tuo contributo nel talk show culturale radiofonico Mai di giovedì?”
“A Mai di giovedì sceglievo con Federico Castagna (ideatore e conduttore del programma) i temi e i film che ogni giovedì sera presentavo in trasmissione. Ad ogni puntata affrontavamo un tema, ad esempio con il tema de L’IMMAGINAZIONE il film era 8emezzo di Fellini oppure quando abbiamo parlato di CATTIVERIA il film allegato è stato IL SERVO di Joseph Losey poi per LA PUREZZA ho portato INTO THE WILD di Sean Penn e così via. Questo ogni giovedì per un totale di 35 temi e 35 film. Selezionavo tre brevi estratti sonori, tre scene che trattassero il tema affrontato in puntata e lo mandavamo in onda. Il tema veniva discusso da noi conduttori e dagli ospiti. È stata un’esperienza molto bella e veramente ben riuscita, ma che non ha avuto il seguito che meritava. Qui succede spesso che le cose si fermino raggiunto un certo livello… ma è meglio se mi fermo, non vorrei essere uno di quelli che distrugge senza proporre.
Ciao a tutti, grazie.
M.M.
Che dire Michele di strada ne hai fatta, ma ho una convinzione… sei solo all’inizio e vedo un lungo percorso costellato di soddisfazioni. In bocca al lupo e buon cammino!