Poco tempo fa avevo accennato al fatto che ormai c’è una grande confusione riguardo a cosa e a come mangiamo. Tra diete più o meno attendibili, integratori di ogni genere e natura, intolleranze presunte o diagnosticate con pressappochismo, cibi sponsorizzati come miracolosi e altri etichettati frettolosamente come non buoni. Se a tutto questo aggiungiamo le mode alimentari da un lato e i retaggi informativi tramandati da generazione in generazione dall’altro, il cerchio tristemente si chiude con un grosso punto interrogativo: “ma cosa dobbiamo mangiare allora?”.
E proprio durante l’ora di pranzo, mentre stavo addentando una parmigiana trasportato dal solo piacere del gusto, in televisione vedo Corrado Augias con in mano un libro dal titolo alquanto a tema con i miei pensieri: PANE E BUGIE.
In studio c’è pure l’autore – Dario Bressanini – una persona piacevole, a modo, che con un tono professionale senza rinunciare alla simpatia, parla di questo suo lavoro letterario legato ai pregiudizi, agli interessi, ai miti e alle paure su ciò che mangiamo.
Non posso perdere questa occasione. Incuriosito e stimolato dal volerne sapere di più, prendo il libro, lo leggo e chiamo l’autore per approfondire meglio questo suo lavoro.
Dario Bressanini sta tornando dal supermercato quando lo rintraccio telefonicamente. Quale momento più opportuno per conoscerlo meglio. Ecco cosa Dario mi ha raccontato mentre sistemava la spesa a casa.
“Allora Dario, sono curioso di sapere che prodotti mette nel suo carrello l’autore di PANE E BUGIE?”
“Ho comprato del pesce spada fresco, dei pomodorini (di Pachino), delle tagliatelle fresche, e poi latte e frutta”
“Voglio testare se sei un bravo cuoco. Con questi prodotti che cosa mi prepareresti?”
“Avevo intenzione di preparare un ragout di pesce spada, con del finocchietto selvatico, che ho nell’orto, per condirci le tagliatelle”
“Bene, appurato che posso accettare un invito per una cena da te preparata, come insegnante di chimica ti capita di parlare anche agli studenti di cucina?”
“Certamente. Anzi, il mio approccio scientifico al cibo e alla gastronomia è nato proprio dai miei corsi di Chimica. Insegno da tempo al primo anno di Chimica all’Università dell’Insubria, a Como. Negli anni ho notato come usare degli esempi tratti dalla vita reale, e specialmente dalla cucina, per illustrare concetti scientifici sia un potente strumento didattico. E così quando parlo ai miei studenti dell’osmosi gli spiego perché si mette il sale sulle melanzane per preparare la parmigiana di melanzane, o spiego come si fa una macedonia sugosa. Gli studenti così riescono a vedere immediatamente una applicazione dei concetti teorici che gli ho illustrato. Solo successivamente ho avuto l’occasione di scrivere di questi temi su Le Scienze, e poi sul blog”
“E la tua attività di ricercatore presso il Dipartimento di Scienze chimiche e ambientali dell’Università dell’Insubria, in cosa consiste?”
“Non mi occupo, nella mia attività di ricerca, di cibo. Quello è un hobby. Io sono un Chimico-Fisico teorico e mi occupo di meccanica quantistica. Gli “esperimenti” culinari li faccio nella cucina di casa”
“Invece la scrittura è arrivata con la collaborazione con il mensile Le Scienze?”
“Sì. Come ti dicevo già da tempo raccontavo queste cose ai miei studenti. Avevo anche iniziato una collaborazione con il mensile di divulgazione scientifica Le Scienze, dove scrivevo piccoli articoli di storia della chimica o della matematica. Un giorno il direttore, sapendo del mio interesse gastroscientifico, mi diede da recensire il libro di Hervé This Pentole & Provette. This è uno dei fondatori della gastronomia molecolare. Il libro è molto bello e illustra come un approccio scientifico ai processi gastronomici possa portare a ricette migliori e innovative. Nella recensione pubblicata su Le Scienze, alla fine mi lamentavo della visione un po’ troppo “francofona” del libro, tutto incentrato sulla cucina francese. Chiudevo il mio pezzo con l’auspicio che qualcuno, prima o poi, potesse scrivere in quel modo anche di ricette italiane, e ci raccontasse tutto sulla chimica del pesto o sulla termodinamica della pizza. Detto fatto. Il direttore mi dice “perché non lo fai tu?” e così mi affida, prima in tandem con Hervè This e poi da solo, la rubrica mensile sulla scienza in cucina.”
“Poi però dalla scrittura su carta sei arrivato anche a quella online. Sono circa tre anni che curi il fortunato blog Scienza in cucina. Come sei diventato un blogger?”
“I pezzi che preparavo per la rivista erano sempre molto, troppo lunghi per la piccola paginetta (3800-4000 battute) e quindi molto materiale rimaneva fuori. Dopo un po’ di tempo Marco Cattaneo, il Direttore, mi suggerisce che avrei potuto tenere un blog, accanto a quelli già esistenti della redazione di Le Scienze, dove avrei potuto mettere tutto il materiale, e anche delle foto. Ed ecco che è nato il blog.”
“Che tipo di esperienza è stata ed è tuttora quella di gestire un blog?”
“E’ stato sicuramente gratificante vederne il successo, ma è anche abbastanza faticoso in termini di tempo perché cerco di leggere tutti i commenti, anche se non sempre riesco a rispondere. Alcuni articoli hanno raggiungo più di mille commenti.”
“Dai commenti che ti lasciano, ti sei fatto un’idea di che tipo di persone ti seguono su Scienza in cucina?”
“Dipende molto dalla tipologia degli articoli. Quando scrivo di argomenti più strettamente gastronomici commentano molte persone, soprattutto donne, che cucinano e spesso hanno anche un loro blog di cucina. Commentano anche cuochi e Chef professionisti. Quando invece tratto argomenti più legati all’agricoltura o più “politici”, come gli OGM, il km 0, ecco che intervengono anche ricercatori, agricoltori, semplici interessati e così via. Un pubblico molto eterogeneo ma, devo dire, solitamente ben informato e ben disposto al dialogo. Solo rarissimamente si sono scatenate risse (virtuali).”
“Veniamo a PANE E BUGIE. Com’è nato? In un certo qual senso si può dire figlio del tuo blog?”“E’ sicuramente figlio del blog. Alcuni degli argomenti trattati nel libro sono il frutto dei post scritti sul blog (ad esempio il km 0 o l’articolo sul latte crudo). Ho quindi deciso di mettere in ordine, per dare un filo logico conduttore, agli argomenti trattati e quindi ho scritto appositamente dei capitoli con argomenti che ritenevo non potessero mancare, come tutti quelli sull’agricoltura biologica e sui pesticidi”
“Sai l’aspetto che mi ha maggiormente colto dalla lettura del tuo libro è il tono che hai utilizzato. Scrivere sul cibo, affrontando certe tematiche alimentari, si sarebbe prestato a creare allarmismo. Invece PANE E BUGIE secondo me, incuriosisce e stimola il lettore a porsi delle domande e a riflettere su tutta l’informazione legata all’alimentazione. Ti è stato naturale scrivere in questo modo o hai dovuto importi delle regole?”
“E’ stato tutto molto naturale perché questo è il modo solito con cui si scrivono (o si dovrebbero scrivere) gli articoli scientifici: si guardano i fatti, senza preclusioni ideologiche, e si discutono i pro e i contro. Non troverai mai un articolo scientifico sul pesto intitolato “Il pesto fa venire il cancro”. Quello casomai lo leggi sui giornali. Troverai invece articoli che misurano le quantità di sostanze potenzialmente tossiche nel basilico, che ci sono, ma che cercano di contestualizzare questi rischi rispetto all’alimentazione quotidiana.
Quindi nello scrivere il libro non ho fatto altro che usare la stessa tecnica di scrittura: prima i fatti e poi le discussioni, tralasciando i catastrofismi non dimostrati o gli eccessivi trionfalismi”
“Qual è stato il capitolo che hai trovato più difficile scrivere e perché?”
“Quelli sull’agricoltura biologica. Ad una prima lettura possono sembrare critici verso questo tipo di coltivazioni. E questo perché dico cose che contrastano con l’immaginario popolare, sostenuto negli anni anche da un sapiente marketing. In realtà non ho fatto altro che raccontare il punto di vista attuale della scienza verso questo tipo di coltivazioni molto di moda. E si scopre che la scienza non supporta molte delle affermazioni che invece spesso si sentono sui giornali. Scrivere questi capitoli è stato più difficile perché si rischia sempre di passare per “negazionisti totali” e di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ho più volte cambiato gli aggettivi e il tono usato per far capire che non stavo “attaccando” nessuno, ma semplicemente raccontando i fatti, e che il problema semmai era come l’agricoltura biologica è stata presentata in questi anni dai media. Io compro cibi biologici, se il sapore è migliore di quelli convenzionali, anche se costano un po’ di più”.
“Invece, in quale ti sei maggiormente divertito?”
“Sicuramente quello sul Monossido di idrogeno, sostanza chimica responsabile di migliaia di morti l’anno in tutto il mondo e ampiamente utilizzata nelle bevande gassate di note multinazionali ma che per ora non ha ancora attratto l’attenzione dei politici. Ma non sveliamo ai tuoi lettori di che cosa si tratta … J”
“Nel tuo libro c’è tutta una prima parte dedicata all’informazione che non informa. Emblematica la vicenda legale Monsanto contro Schmeiser. Ma secondo te esiste un antidoto per filtrare il bombardamento mediatico al quale i consumatori sono sottoposti?”
“Il consumatore purtroppo può fare ben poco, se non sviluppare un sano scetticismo per qualsiasi affermazione trionfalistica o, al contrario, allarmistica. Il minimo che si può fare è chiedersi se chi mi sta raccontando qualche cosa ha un qualche conflitto di interesse. Se, ad esempio, non devo necessariamente credere a scatola chiusa ad una multinazionale che produce degli OGM, quando ne decanta le lodi, allo stesso modo non ha senso che creda sulla parola a chi ha come obiettivo la promozione dell’agricoltura biologica quando ne decanta le lodi. E infatti nel mio libro ho raccontato il punto di vista degli scienziati, che hanno sicuramente meno conflitti di interesse delle parti in causa”
“Cosa vuol dire per te mangiar sano e giusto? Mi ha fatto riflettere l’idea di mettere in discussione che tutto ciò che è naturale equivalga ad essere sano.”
“Certamente, l’equazione naturale=sano è priva di senso, e i ragionamenti su questi costituiscono l’ossatura portante del libro. L’esempio che faccio è quello stranoto del basilico. Il basilico, così come molte altre piante, contiene una sostanza, il metileugenolo, che è risultata cancerogena e genotossica in test condotti sui ratti. Non ci deve stupire che le piante contengano sostanze tossiche: devono produrre dei “pesticidi naturali” per tenere lontani i loro parassiti e un pesticida, che sia naturale o meno, fa quello per cui è preposto: uccidere gli esseri viventi parassiti. La questione quindi, abbandonata la visione idilliaca della natura benefica, è capire, caso per caso, quando un prodotto naturale può essere tossico o cancerogeno per l’uomo. Nel corso degli anni sono stati ritirati, ad esempio, prodotti da erboristeria, in america, perché risultati potenzialmente cancerogeni.
Per il pesto invece, pare che le dosi per cui il metileugenolo risulta potenzialmente cancerogeno per l’uomo siano molto ma molto più alte delle dosi normalmente assunte in una normale dieta. Per cui continuo a mangiarmi il pesto senza preoccuparmi troppo: i rischi che corro non sono molto diversi da quelli che mi assumo mangiando altri alimenti.”
“Ci sono dei prodotti alimentari che dal tuo punto di vista di chimico non sono presenti sulla tua tavola?”
“Cerco, se possibile, di evitare i grassi idrogenati, che sono ormai ritenuti corresponsabili di una serie di patologie cardiovascolari. Sono presenti spesso ad esempio nella cosiddetta panna vegetale. Se voglio della panna mi compero la panna fresca e la monto da me. E’ facilissimo ed è più buona. Cerco di evitare poi, per quanto possibile, alimenti dove sono presenti coloranti non necessari. In realtà i coloranti sono sempre inutili, ma alcune volte non è possibile evitarli e li accetto, ad esempio nei ghiaccioli. Sono un goloso del ghiacciolo azzurro, lo confesso J”
“E del caffè cosa mi dici, posso continuare a berlo?”
“Anche il caffè contiene sostanze potenzialmente cancerogene, ad alte dosi. Il discorso è simile a quello del pesto. I rischi (in questo caso di contrarre il cancro alla vescica) sono molto piccoli, e spesso inferiori ad altri rischi che ci assumiamo costantemente e volontariamente durante la nostra vita. Se fumi forse è meglio che smetti di fumare invece che preoccuparti di smettere di bere il caffè”
La chiacchierata con Dario Bressanini per il momento si conclude, anche se credo che nuovi spunti di discussione continueranno ad arrivare dal suo blog. Oggi Dario, al di là di tutto ciò che ha scritto sul suo libro, mi ha dato un importante elemento da cui ripartire. Riguarda la verifica. La verifica delle informazioni. Elemento che dovrebbe essere preso sempre in considerazione al di là del contesto, alimentare o meno, ma qui si apre un altro capitolo e visti i tempi che corrono, forse è il caso di affrettarsi nell’adozione di questo criterio.