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Tra pochi minuti andrà in scena con il suo nuovo spettacolo. My life with men… and other animals. Lo ha scritto insieme a Patrick Pacheco, firma del New York Times e alla regia c’è Peter Schneider, direttore dell’animation studio Disney, produttore di “The Lion King” e “Roger Rabbit”.
Fin qui tutto normale. Se non fosse che, non siamo a Broadway (lì c’è già stata e ha fatto tutto esaurito) e la lei in questione è una toscanaccia puro sangue. Il suo nome è Maria Cassi e qui un’altra anomalia, è più conosciuta a Parigi e a New York, che in Italia.
Anche il luogo della rappresentazione di questa sera è qualcosa di particolare. Firenze, quartiere Sant’Ambrogio, via de’ Macci 111r e quello che sembra “un negozio di alimentari con un grande retrobottega”, citando il fondatore e marito di Maria Cassi, il rinomato cuoco Fabio Picchi, non è altro che il Teatro del Sale. Luogo magico, dove il tempo sembra rallentare, i gusti dei cibi ritrovare la loro originalità e la cultura, sapientemente intrattenere la mente dei propri ospiti.
Sono qui perché mi sono innamorato. Mi sono innamorato del talento artistico di Maria Cassi. Della sua capacità di fare comicità. Del suo modo di fare ridere. Dell’utilizzo delle parole come un sorriso spontaneo. Dell’utilizzo del corpo come un mimo illuminato.
Qui siamo lontani dalle battute preconfezionate. Da telecamere che ingigantiscono il personaggio, ma non la sua umanità. Da politiche di marketing che riescono a imporre il successo o meno di uno spettacolo.
Quando ho visto per la prima volta Maria Cassi (me ne dispiaccio che sia stato solo recentemente) è stato durante un suo precedente spettacolo dal titolo Crepapelle. Mi sono bastati pochi minuti per capire che di fronte a me non c’era solo un’attrice comica, bensì una persona che per dote naturale e professionalità acquisita era paragonabile a grandi come Charlie Chaplin, Jacques Tati, Buster Keaton, Jerry Lewis o Roberto Benigni.
Fare ridere, ne parlavo anche tempo fa, è un mestiere difficile. Il pubblico è sempre più esigente. Spesso è anche condizionato da forme di comicità immediate. Battute supportate da finti applausi. Ed è per questo che il lavoro che Maria Cassi sta portando avanti, diventa una fonte autorevole di divulgazione del sorriso. La sua capacità di coinvolgere lo spettatore, di accompagnarlo durante i suoi monologhi è per certi aspetti simile all’amore che un genitore trasmette leggendo la fiaba al proprio figlio prima che si addormenti.
Ma la cosa che colpisce forse più di tutti è la passione che Maria Cassi riesce a trasmettere. E’ evidente quanto a lei piaccia fare questo lavoro. E questo entusiasmo è contagioso. Al termine dei suoi spettacoli, con il sorriso sul viso, viene voglia di affrontare in maniera diversa gli impegni della propria vita. Non è un azzardo dire, che il suo teatro è terapeutico. Riconcilia con gli altri e con se stessi.
Questo perché attraverso la storia di Maria Cassi si può capire che non ci sono limiti, se non quelli mentali, per portare avanti i propri progetti. Ne è una riprova lo spettacolo che mi appresto a vedere questa sera. Un’opera che supera i confini linguistici, utilizzando l’italiano, l’inglese, ma soprattutto il suono delle parole. Un’opera che è appunto il frutto di prestigiose collaborazioni internazionali. Un’opera autobiografica che parte da San Domenico di Fiesole con un’infanzia scadenzata da regole rigide. Passa alla libertà ritrovata dell’esperienza americana, per arrivare al ritorno in Italia e alla celebrazione dell’amore.
Tutto questo ridendo.
C’è un consiglio che Tiziano Terzani ha lasciato in eredità a tutti noi su come affrontare una giornata “cominciare ridendo e finire ridendo, con una grossa risata”. Bene il teatro di Maria Cassi è un perfetto coadiuvante per ricercare un’ottima qualità della vita.
Non mi rimane che entrare. My life with the men… and other animals mi sta aspettando. Non vedo l’ora di rincontrare la mimica facciale di Maria Cassi. Dopo lo spettacolo, magari riuscirò a scambiare anche qualche parola con lei. Ma non è questo ciò che importa. L’importante sarà immagazzinare la gioia che scenderà da quel palco. Trattenerla. Per poi ridistribuirla nei miei incontri quotidiani.
Ora, si alzi pure il sipario.