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Per un momento chiude gli occhi. Come per mettere a fuoco l’immagine nella sua memoria. Dopodichè con una smorfia di sorriso sulle labbra dice: “… Ungheria… campionati del mondo juniores… quello è stato il momento più bello”. Poi, bambini che si rincorrono vicino a lei, la svegliano da quel suo stato quasi sognante. Ridà luce all’azzurro dei suoi occhi e indicando i tre figli aggiunge: “… anche se la più grande soddisfazione sono loro”.
Si conclude così l’incontro con Alessandra Bizzarri, campionessa di pentathlon femminile in passato, ottima interprete del canottaggio master oggi, ma in particolar modo vincitrice nei confronti delle insidie della vita.
La sua è una storia emozionante. Se per certi aspetti lo sport è una metafora della vita, in questo caso si fa fatica a scindere i due emisferi.
Siamo a Roma, fine anni settanta. Lei è piccola, ma inizia subito a prendere confidenza con l’acqua. Nuota bene la ragazzina e un’insegnante in gamba la fa evolvere. Ma Alessandra non è solo brava in piscina. Per la sua predisposizione alla corsa si fa notare anche in campo atletico. Il passaggio al biathlon, alla combinata corsa e nuoto, è un passaggio naturale.
Arrivano i primi risultati e le prime soddisfazioni sportive. Talento, entusiasmo e determinazione fanno il resto. Alessandra scopre l’amore per la scherma, disciplina che forse più di altre sente sua e a questo punto è felicemente inevitabile il passaggio al pentathlon moderno inserendo l’equitazione e il tiro a segno.
In questa escalation di risultati però c’è qualcosa che non torna. Certo lei passa un’infanzia diversa dai suoi compagni. Mentre gli altri bambini giocano lei si allena. Ma non è tanto questo a pesarle. Il fardello maggiore è dato da una mancanza. Più Alessandra va avanti, più si accorge che il disinteresse della famiglia diventa un limite insuperabile.
Se spesso la presenza dei genitori può risultare invasiva e controproducente in ragazzi inseriti in un percorso di crescita sportiva (e personale), dall’altro anche il “non aiuto”, il “non aiuto” fisico e psicologico può diventare una trappola priva di uscite.
A subirne le conseguenze è proprio Alessandra che non solo non vede riconosciuto il suo impegno, ma nemmeno il calore prodotto dall’affetto dei propri cari.
In questa situazione già di per sé difficile, si aggiungono altre problematiche che poco o nulla dovrebbero aver a che vedere con lo sport. Alessandra Bizzarri fa parte di una piccola società sportiva. Questo comporta due complicazioni. La prima è che Alessandra deve arrangiarsi. La società non riesce a seguirla. La seconda è che il peso di una struttura di piccole dimensioni come la sua, è ininfluente negli interessi economico/politici del business che gira attorno allo sport.
In questo scenario di quasi completo abbandono, a ventanni Alessandra smette con il pentathlon che l’aveva portata a confrontarsi con i più bravi avversari a livello mondiale di questa disciplina ed inizia per lei la sfida più grande.
Una sfida con se stessa. Contro i disturbi alimentari che la accompagnano per un periodo. Contro un’insicurezza personale frutto forse di riconoscenze d’affetto non sempre ricevute. Il percorso è in completa salita. In questo momento di massima difficoltà emerge in lei però lo spirito che per molto tempo l’aveva accompagnata durante le gare. Quella sana competizione. Quella voglia di non mollare. Quel desiderio di vincere. La voglia di vivere.
Alessandra può contare sul suo carattere e su una persona. Aveva tredici anni quando l’aveva conosciuto. Era stato il suo maestro di scherma. Diverrà suo marito oltre che un prezioso e fondamentale appoggio durante questo tortuoso percorso.
Ed ecco che da una situazione alquanto compromessa, Alessandra prende coraggio. Certo non è una passeggiata. Ci sono ancora diverse cose da riequilibrare. Alcune di difficile gestione. Scelte personali che sembrano più compromessi che spinte dal desiderio. Come gli studi. Intraprende Isef non tanto per amore, ma perché in quel momento rappresentava la cosa più lontana da ciò che gli si voleva imporre. Ci sono anche dei problemi fisici da superare, come il trauma cranico riportato durante una caduta da cavallo, proprio un anno prima di smettere con l’attività agonistica. Ci sono dei rammarichi. Come non essere andate alle Olimpiadi, perché solo qualche anno dopo il pentathlon moderno femminile sarebbe stato incluso tra le discipline della bandiera a cinque cerchi.
Ma nonostante ciò Alessandra riesce a tagliare il traguardo di questa sua nuova vita. Una vita con un passato importante alle spalle, ma con un futuro gioioso ancora tutto da scrivere. Nel frattempo diventa insegnante di progetti sportivi a scuola. Istruttore di rowing, il canottaggio in palestra. Istruttore anche di nuoto e preparatore atletico. Oltre a ciò comunque Alessandra sente anche la necessità di riprovare quelle emozioni date dallo sport praticato in prima persona. E’ così che fa diventare il canottaggio la sua appendice sportiva agonistica.
Poi c’è anche un sogno. Essere parte integrante di una squadra. Magari sfruttando proprio le sue competenze come preparatore atletico. Ma non solo quelle. Mettere a disposizione di un gruppo la sua esperienza. Come atleta. Come persona. Alimentare con la sue capacità il lato bello dello sport. Quello dove ha valore solo il gesto sportivo, non ad altre cose.
Certo forse un po’ di insoddisfazione da un punto di vista professionale c’è in Alessandra. Non potrebbe essere diversamente. Trovarsi sul tetto del mondo, sapendo che si ha molto ancora da dire e tutto d’un tratto ritrovarsi a terra non per demeriti propri non è facile da digerire. Però Alessandra deve essere anche orgogliosa perché ha trovato la forza per ricominciare.
Intanto i suoi bimbi continuano a correre e lei non smette di guardarli con lo sguardo di una madre che sicuramente riesce a dare amore ed essere un punto di riferimento per loro.
Alessandra… you are the champion!