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Aveva qualcosa di nordico. I lineamenti. Quegli occhi azzurri che brillavano nel viso. Niente a che vedere con il temperamento. Loquace, sorridente e determinata. L’eccessiva umiltà forse la frenava. Le impediva di gioire completamente di fronte alle sue imprese. Non perché fosse un’eroina d’altri tempi o un Marco Polo moderno. Però di cose da raccontare, di mondi da descrivere, di persone da ricordare ne aveva a disposizione.
Il viaggio di Caterina Borgato era iniziato fin da subito. Da quando la madre la portava in grembo a visitare terre lontane. La sua era una famiglia di viaggiatori. Di scopritori. Indole che le era stata trasmessa in modo totale, tant’è che per capire a chi assomigliasse dei genitori, non occorreva confrontarne gli elementi fisici, piuttosto chiedere in quali luoghi erano stati.
Mentre mi parlava mi citava nomi per lo più sconosciuti, o quantomeno incontrati in qualche racconto d’avventura. Lo faceva non per stupirmi, ma per condividere. Questo per lei era un dogma. La sacralità della condivisione. Poi comunque non era saccente nel suo modo di raccontare. Tutt’altro. Se mai era coinvolgente. Emozionante. Trascinante. Con le sue parole sia enunciate sia scritte, sapeva trasportare l’interlocutore in viaggio con sé.
I suoi non erano solo viaggi lontani. Erano dei veri e propri viaggi nel tempo. Come un’antropologa veniva attirata dai quei luoghi ricchi di storia. Storia spesso dimenticata. Dove il valore umano e sociale era dato da tradizioni che solo gli abitanti di quelle terre conoscevano e custodivano gelosamente.
Anche su questo però Caterina sapeva come muoversi. Prima di tutto rispetto. Poi apriva i pori dei suoi sensi per raccogliere quante più possibili emozioni. Ascoltava i silenzi dei deserti. Guardava oltre i confini dei cieli. Annusava i profumi di spezie rare. Si avvicinava a piante mai incontrate fino ad allora, ma soprattutto comunicava con la gente. Con i gesti. Con lo sguardo. Con il cuore.
Come quando mi raccontò di Socotra, l’isola dello Yemen, della quale si era innamorata. Bastarono pochi dettagli per farmi capire i motivi di codesto tanto amore. Un luogo incontaminato, quasi dimenticato. Dove nessuno conosceva la storia di questo posto. Una terra di ricchezze antiche. Un paesaggio alieno. Un regno delle leggende. Un patrimonio botanico, ma in particolar modo una culla di umanità. Umanità data da tutti gli abitanti del luogo.
Le parole con le quali Caterina descriveva quest’isola, sembravano quelle di un narratore che aveva vissuto pienamente un’esperienza, che andava al di là della parentesi legata al viaggio.
Ecco qual era l’elemento catalizzante di questa donna: la temporalità. Il suo viaggio non si concludeva con il ritorno. Il suo viaggio continuava con le sue descrizioni e nello stesso modo era iniziato, ancor prima di arrivare nel luogo da visitare. Mettendo insieme brandelli di storia, Caterina Borgato, poteva così viaggiare nel tempo. Far viaggiare nel tempo. Non aveva bisogno di chissà quali strane macchine per far ciò, ma tanta curiosità e voglia di scoprire.
Un altro elemento che si denotava in lei era lo spirito di tolleranza. Aveva incontrato troppe culture, troppe persone così diverse e lontane tra loro per non capire che sarebbe stato stupido la mancanza di rispetto. Era anche per questo che non sopportava l’ignoranza. L’ignoranza di coloro che non aprivano la mente al confronto con gli altri.
Ogni tanto sul suo taccuino annotava qualcosa. Questo le accadeva sempre che fosse in viaggio o meno. Era un modo per fissare dei ricordi. Era un modo anche per appuntare nuovi stimoli. Perché lei era in continuo movimento. Con il pensiero. Con il fisico. Ragion per cui il mezzo che prediligeva per gli spostamenti nei suoi viaggi erano i piedi. Spostamenti lenti che le permettevano di immortalare nella sua memoria tutto ciò che le accadeva attorno.
Passionalità e ratio messi insieme. L’equilibrio raggiunto da Caterina. Lei che amava programmare, per poi partire, ma comunque per poi ritornare. D’altronde lei era la donna che viaggiava nel tempo e in questa circolarità di azioni, il suo viaggio non trovava fine.