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Potrebbe essere tranquillamente un set cinematografico se non fosse che qui non si interpreta. Si vive. Comunque sia ha qualcosa di affascinante. Magnetico. Forse anche magico. Sta di fatto che è un luogo dove arrivano e partono persone. E’ un luogo dove i pensieri s’incontrano.
Non è il terminal di un aeroporto. Nemmeno la sala d’aspetto di una stazione. Niente valigie. L’unico bagaglio a mano permesso è il sorriso. Ed è così che in uno dei Sestieri dove sono rimasti ancora dei veri veneziani, illumina la Salizada del Pignater, la vetrina di questo negozio. Perché di un negozio si tratta.
Niente paura, qui non troneggiano le insegne di noti brand. Qui l’unica scritta che si fa largo ha qualcosa di originale – Muranero – sillogismo perfetto per descrivere cosa si realizza. Già, perché c’è un altro tassello da aggiungere a questa storia. In questo luogo dove si avvicendano persone ad apportare il proprio saluto, al suo interno c’è un’artista o forse meglio dire, come piace a lui, un umile artigiano. Il suo nome è Moulaye Niang ed è lui l’artefice delle opere in vetro che animano questo spazio.
E’ lui che ha saputo imprimere lo sguardo della sua terra natia, il Senegal, all’antica arte del vetro di Murano. Il risultato è ciò che non riesce a trattenere chi entra nel suo negozio. Stupore per tanta bellezza. Ed è proprio nelle perle in vetro, l’oggetto che maggiormente rappresenta Moulaye, che l’energia di questo incontro si fa più pura. Più intensa.
La sua anima si riflette in ciò che realizza. Il suo spirito emerge dal calore di questo luogo. Un calore umano intenso. Lo sanno bene i vari amici che anche per pochi istanti si fermano a salutare Moulaye. Per ammirarne le opere. Per scambiare qualche parola. Per ritrovare la giusta dimensione del tempo.
“Il tempo deve essere mio…” dice Moulaye. Non è una frase di circostanza. E’ un approccio di vita. E’ il rispetto di quanto necessario per la realizzazione di un’opera. Ma è anche il valore che dà alla propria esistenza. Quella degli altri. Mai prevaricare. Mai imporre.
La storia di Moulaye Niang potrebbe essere un esempio virtuoso di emigrazione. E’ molto di più. E’ la storia di un ragazzo che con caparbietà e determinazione ha saputo perseguire quella che sentiva essere la sua strada. Questo anche quando andava a bussare alle fornaci di Murano per imparare. Per apprendere un’arte che gli avrebbe permesso di esprimersi attraverso dei manufatti unici. Perché fatti da lui. Mescolando tradizioni diverse. Anche questo è innovare. Evolvere.
Ma l’espressione artistica di Moulaye non si ferma al vetro. Il suo scandire del tempo trova anche un’altra forma d’espressione. La musica. “… la musica è cuore… la musica è emozioni… la musica si suona…”, mi dice iniziando a battere con una bacchetta per scandire il tempo. Lui che voleva essere un bassista ed invece è diventato un batterista. Lui che nonostante le innate doti ritmiche, si ritiene solo un esecutore. Forse perché ha visto cosa vuol dire farsi travolgere dal successo. L’essere famosi e non sapere gestire la notorietà. Come è accaduto ai suoi fratelli. Il clamore che sovrasta l’essenza della musica. Aspetto che Moulaye non sottovaluta mai, anzi che cerca di trasferire anche ai giovani ai quali insegna musica, affinché lo strumento non diventi uno scudo per sentirsi più grande. Per Moulaye la musica è un modo per dare voce alla propria parte emozionale. Forse anche per questo non ha mai voluto approfondire la parte accademica. Conoscerne la parte intellettuale.
Mentre parliamo di tutto ciò ogni tanto veniamo interrotti da qualche amico che entra in negozio. Non sono interruzioni però. Più che altro arricchimenti. Un modo per ampliare i confini dei propri discorsi. Come quando entra un ragazzo entusiasta nel dare conferma che farà parte del gruppo. Dalla musica si passa al viaggio. Il gruppo in questione è quello che Moulaye sta organizzando per andare in Senegal. Dieci giorni. Un paio di settimane. Certo non abbastanza, ma sufficiente per vedere con i propri occhi e non con quelli di stereotipi tramandati, cosa c’è in quella terra.
Intanto a proposito di tempo, i campanili a fianco scandiscono i dodici rintocchi. E’ mezzogiorno. Lascio Muranero non prima di soffermarmi sulla brillantezza di una delle tante opere di Moulaye. Poi guardo i suoi occhi. Ritrovo la stessa brillantezza. Non è un caso. E’ la capacità di ascoltare e riprodurre le emozioni che lo circondano. Bravo Moulaye.