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Quando ci sentiamo la sua stanza è illuminata da una fioca luce artificiale. Non è colpa di particolari fusi orari. Sono le undici del mattino sia da me che da lui. Se deve esserci un responsabile quello semmai è il vento. Certo a Trieste si è abituati alla bora, ma quella di questi giorni è di particolare intensità, tanto da far abbassare le persiane di casa ed attendere che Eolo plachi il suo soffio per un po’.
Per Marco Cecotto la situazione ambientale è certamente cambiata. Passare dalla tranquillità della campagna di una piccola frazione dell’entroterra veneziano dal nome La Salute di Livenza alla città mitteleuropea per eccellenza, il salto è notevole, ma le passioni portano anche a questo. Perché c’è un elemento che è al centro degli interessi del ventinovenne Marco: il suono.
E’ proprio quando inizia a parlarmi di questo suo amore che anche il vento triestino sembra calmarsi quasi a voler curiosamente ascoltare la storia del giovane Cecotto. Tutto sembra essere iniziato con la visione di un video musicale quand’era bambino. Sullo schermo un musicista rock impugnava una chitarra. Nemmeno il tempo che la canzone terminasse e Marco implora la madre a portarlo a suonare quello strumento a corde. Il primo vero contatto con la musica. Non entusiasmante però, perché al di là di lunghi momenti di solfeggio, viene meno quel trasporto completo che si aspettava. Passano gli anni e a sedici il basso elettrico prende il sopravvento ed insieme ad amici mette insieme un gruppo di musica metal noisecore. Un passaggio fondamentale, ma non ancora una svolta definitiva.
“Cominciai a concentrarmi sempre di più sull’improvvisazione “noise”, sul rapporto diretto, non mediato da strutture, con il suono… suoni che poi diventavano irripetibili però…” mi racconta Marco in un crescendo di emozioni. Ed è proprio per cercare di memorizzare queste improvvisazioni che Marco Cecotto si rivolge per la prima volta all’informatica e, nel corso degli anni, capisce che la sua strada non è quella del musicista, ma quella della Sound Art.
E’ qui che Marco inizia la realizzazione delle sue installazioni sonore. “Sentivo l’esigenza di trasformare il computer in uno strumento che riproducesse i suoni, ma non in modo seriale…” – è così che arriva alla produzione di opere dove l’interazione diventa l’elemento caratterizzante. “Ciò che faccio è costruire un sistema a partire dal quale ciò che andrà ad accadere sia non la semplice espressione del mio gusto personale, ma il risultato di una situazione complessa… il prodotto dell’azione dello spettatore da un lato e dell’ambiente dove l’installazione si trova dall’altro”. Questo ultimo aspetto non è indifferente nel processo creativo di Marco: “E’ fondamentale sapere dove l’installazione andrà a finire… se sarà possibile accedervi di giorno o di sera… se sarà in uno spazio pubblico o meno… la durata e quant’altro…”.
Sono diverse le anime che caratterizzano Marco Cecotto. Con una laurea in filosofia e una specializzazione in estetica, ora si trova a confrontarsi in prima persona con questo suo grande amore che ha per il suono. Sono tre le componenti inscindibili della sua persona. L’elemento informatico, che gli permette di realizzare da solo le applicazioni alla base delle sue installazioni. L’elemento sonoro, da intendersi come l’aria che si respira e che ci circonda, perciò vitale. Infine l’elemento artistico, quello che gli permette attraverso il suo estro di creare un’opera attraverso l’utilizzo della sua materia prima, il suono appunto.
Tendenzialmente Marco registra suoni della strada. Seppur non esista un suono preferito ci sono dei luoghi che predilige, come le stazioni, habitat naturali di una molteplicità di stimoli sonori e informazioni. Ma come mi spiega lui, poi può essere l’inaspettato, il suono che fornisce notevoli soddisfazioni, questo come quando si è trovato ad immortalare il suono prodotto da un pneumatico interposto tra due imbarcazioni ancorate vicine tra loro, al momento del loro momentaneo contatto sulla spinta del moto ondoso. E’ su questo aspetto che bisogna avere una spiccata sensibilità legata al senso uditivo – “… chiudere gli occhi ed ascoltare è una delle esperienze più intense che si possa fare… ricordo ancora l’esperimento di “blind listening” durante un live di Francisco Lopez (un nome di assoluta importanza nel panorama della sound art): privati della prospettiva propria della visione, nell’esperienza acusmatica ci si trova immersi in una dimensione che porta con se un’esperienza radicalmente differente dello spazio e del tempo”.
Ma la sperimentazione per Marco Cecotto non ha mai termine. La sua ricerca nell’ultimo periodo si è concentrata sulla tenuta dei limiti di varie tipologie di “oggetto”, esplorate, decostruite e trasformate attraverso il medium del suono e la strategia dell’interazione. I primi tre risultati di questa indagine (Found Object, Sound Object e Art Object), raccolti sotto il titolo This Is Not an Object, rimarranno disponibili al pubblico fino al 21 febbraio allo Spazio Pelodrilli di Treviso, nell’ambito di un’esposizione organizzata dalla giovane No Title Gallery che lo vede coinvolto insieme all’artista 108. Quello che gli piacerebbe fare ora, la sua ambizione, sarebbe invece quella di “uscire dall’idea di speaker“, nel senso di “trasformare il comune concetto di diffusore audio facendo coincidere le due estremità della catena elettroacustica: la sorgente sonora e il dispositivo predisposto a diffonderne il suono amplificato… in altre parole, trasformare gli speaker in oggetti/strumento, facendo in modo che essi non amplifichino altro che sé stessi… su questo sono stato molto influenzato dalla visionaria e pionieristica “orchestra di altoparlanti” sviluppata negli anni ’70 David Tudor, e culminata in “Rainforest IV”, ma anche dai recentissimi esperimenti di Andrea Valle e dal suo “Rumentarium””.
Prima di lasciarci chiedo a Marco se esca sempre in compagnia del suo registratore e lui simpaticamente mi risponde così: “non sempre, ma spesso… anche se devi sapere che registrare i suoni è un po’ come andare a pesca… può capitare di rimanere del tempo ad aspettare che il giusto suono si presenti… ma è anche questo il bello della pesca… l’attesa”.