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Le lancette dell’orologio della Torre Belfredo segnano le otto. Le saracinesche dei negozi sono ancora abbassate. Una leggera foschia staziona a mezza altezza nell’aria. Non sono molti i passanti di un sabato mattino che a stento vuole risvegliarsi. In questo scenario quasi incantato appare lui. La sua sagoma si confonde con ciò che sta trasportando. Su un carrello con un motore d’avviamento preso da una vecchia Y12, troneggia un pianoforte a coda nella sua più completa nera eleganza. Arrivato quasi al centro della piazza, lui con quel insolito bagaglio a mano si ferma. Con un gesto fluido, ma intriso di ritualità, abbassa la pedana del carrello. Il pianoforte prende contatto con il terreno e la base di quel muletto diventa un naturale tavolo dove ospitare CD, depliants e articoli vari di giornali che parlano di lui. Non rimane che fissare un leggio, non per uno spartito, ma per un album fotografico che lo immortala in tante piazze diverse. Lui e il suo immancabile pianoforte.
Fatto questo ci rechiamo in un bar di lì a poco aperto. Mentre una musica anni ’80 fuoriesce dagli altoparlanti del locale ci sediamo attorno ad un rotondo tavolo. Davanti a noi un caffè. Di fronte i nostri sguardi. Ci presentiamo, ma è come se ci conoscessimo già. Mi era bastato incrociarlo qualche giorno addietro in un’altra piazza per conoscerlo. In quell’occasione non c’eravamo detti nulla. Lui stava suonando, io rincorrendo altri pensieri. Per questo gli avevo lasciato un biglietto da visita all’interno di un cappello che faceva da raccoglitore di monete. Forse per questo lui mi aveva richiamato e oggi eravamo lì.
Paolo Zanarella inizia a raccontarmi la sua storia. La passione per la musica. La determinazione nell’apprendere una tecnica da autodidatta. La decisione di inseguire un sogno. Dopo anni di un lavoro certo, la voglia di provarci. Per non lasciare spazio ai rimpianti. Per costruire una felicità. Sua, di conseguenza in chi gli sta attorno. Ed ecco che il pianoforte mai abbandonato diventa lo strumento per realizzare un desiderio di vita.
Intreccia le note per costruire la sua musica. Una musica classica. Una musica che punta dritta al cuore. Compone brani come se andasse a fissare nel tempo le sue emozioni. Poi condivide il tutto. Per creare nuove suggestioni in chi ascolta e fa propria la musica di cui lui è l’autore. Inizia pure ad esibirsi. Concerti, eventi, appuntamenti. Ma in taluni casi si accorge che non è sempre così facile far accorrere le persone per una musica comunque nuova, per qualcuno che comunque non è ancora noto.
Ed è proprio da una considerazione su questo, che tramuta una potenziale frustrazione in un’idea originale. “Forse non riesco a riempire i teatri, ma la fuori c’è pieno di gente… perché non portare la musica, la mia musica dove le persone ci sono e possono soffermarsi anche per pochi minuti, per poi riprendere il cammino della propria vita”. Da questo pensiero Paolo passa all’azione. Gli ci vuole poco tempo per capire come dipanare apparenti impedimenti. Di meccanica ne sa qualcosa. E’ il suo lavoro, o almeno così è stato fino a quel momento. Progetta quel carrello che gli permette di mettere in movimento il suo pianoforte e dare concretezza a quel suo pensiero. Ora gli è possibile trasportare ovunque la sua musica. Anche in quei luoghi che non sembrano essere deputati a ciò. Soprattutto là. Perché è proprio quella distonia visiva, quello stupore di trovare un pianista fuori posto a rendere il tutto ancora più intenso, più vivo.
Tutto pronto non rimane che partire. Ed è un cielo stellato di un’estate padovana a fare da cornice a lui e al suo pianoforte per il debutto. Prato della Valle, sembra come tutte le altre sere, ma non per Paolo. C’è una forte emozione. C’è pure una paura per fare qualcosa di nuovo. Ma bastano le prime note, i primi accordi di una sua canzone a spazzare ogni dubbio ed incertezza oltre che catalizzare l’attenzione delle prime persone. E’ fatta. La musica prende il sopravvento. La gioia di Paolo si trasmette attraverso le dita che accarezzano quei tasti bianchi e neri. Le onde sonore che partono dal suo pianoforte regalano emozioni in chi è lì e si trova inaspettato spettatore. Da loro queste sonorità vengono rispedite all’autore sotto forma di applausi o di tacite parole che dagli occhi trovano una loro intensa e compiaciuta espressività.
Da quella notte Paolo e il suo pianoforte non hanno mai smesso di suonare. Hanno girato insieme per innumerevoli piazze, per altrettanti luoghi apparentemente non destinati alla musica. Il risultato è stato sempre quello: la capacità di trasmettere gioia sotto forma di colonna sonora. Perché la musica è una colonna sonora. Della vita di Paolo Zanarella. Della vita di tutti noi.
Al termine di questa chiacchierata ci scambiamo una stretta di mano. Ancor più stretta è la sintonia che ci ha accompagnato nel ricostruire quel suo modo di rendere migliore il mondo. Prima di lasciarci mi fa leggere alcuni commenti lasciati da passanti su improvvisati biglietti. Sono la gratificazione maggiore per la scelta che Paolo ha fatto. Ora però non ha più tempo. Deve iniziare a suonare. Deve iniziare a regalare altri indimenticabili momenti.