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C’è una regista, brava. C’è un documentario, bello. C’è una passione, il vino e ci sono pure delle protagoniste: Arianna, Dora, Elisabetta e Nicoletta.
Fin qui non c’è nulla di anomalo se non fosse che ciò che viene raccontato dalla telecamera di Giulia Graglia è uno spaccato reale di un mondo che in tanti cercano di “artificializzare”.
Quattro storie diverse, ma tutte consapevolmente o meno unite da un amore per la terra, per ciò che è in grado di regalare, per quanto possa offrirci se rispettata e curata. Storie dove il vino riacquista la propria identità, al di fuori di logiche di mercato e speculazioni dal fascino artefatto. Storie di un vino naturale. Come è stato e come dovrebbe continuare ad essere.
Partendo dalla Sicilia per poi risalire la penisola, incontriamo Arianna Occhipinti, la più giovane, una nuova generazione che forse per questo affronta la viticoltura destando più attenzione, con la voglia di imparare e la smania di fare. Figlia d’arte e conseguiti gli studi in viticoltura ed enologia, rimane fin da subito affascinata dall’energia sprigionata dalla gente che lavora per produrre il vino. Comincia da un etto di terra adibito a Nero d’Avola e dopo otto anni di sacrifici arriva a sedici etti, nel pieno rispetto delle sue vigne autoctone e seguendo un preciso sistema naturale, anche in cantina. Soddisfazioni enormi, in un percorso pieno di sorprese, arrivando ad una crescita continua e di qualità, superando stereotipi di logiche maschili e dovute alla sua giovane età. Arianna, generosa e gioiosa che mette anima e corpo nella sua attività, con un carattere irruente, nel bene e nel male, perché vive nella loro completezza tutte ciò che fa. Una ragazza che da sempre è legata alla campagna e ai progetti intesi come sfide, come opportunità per mettersi alla prova e che ha nello spirito di cambiamento uno dei suoi punti di forza. Spostandoci sulle pendici verso nord-est di Montepulciano incontriamo Dora Forsoni e qui il vino attraverso le sue parole prende forma e sostanza. Dora è uno spirito libero. Dora è la tenacia. Dora è il lato selvaggio della natura e forse per questo il più vero. Dora è il suo vino, il Vino Nobile, il Rosso di Montepulciano. Ma soprattutto Dora è la sua visione della viticoltura, una visione che si basa sul principio che “il vino si fa in vigna, in cantina si può solo peggiorare”. E’ questo l’approccio di una produzione biologica che va ad irrompere in un sistema di industrializzazione della viticoltura, rimettendo al centro la pianta, facendo decadere il blasone acquisito dagli enologi. Dora è colei che ha sempre vissuto in vigna, che ha vissuto felicemente il forte legame con il padre e che da bambina aveva due desideri legati ai principi di libertà ed uguaglianza. Una sognatrice concreta, che si lascia estasiare dal silenzio e dai profumi di una campagna rigogliosa, ma che allo stesso tempo combatte per far tornare il Nobile di Montepulciano così com’era. Ma forse proprio lei con tutta la passione che mette nel suo lavoro questa battaglia l’ha già vinta. Dora è tutto ciò e molto di più. E’ lei che subito dopo essersi congedata al telefono, mi richiama per rispondere alla domanda lasciata in sospeso legata a il suo sogno nel cassetto. Ma questo lo conservo per me. A più di quattrocento chilometri di distanza da Dora e a venti a nord di Trento, un altro incontro. E’ la volta di Elisabetta, Elisabetta Foradori, madre di quattro bimbi, da quasi trent’anni lavora nell’azienda vinicola del nonno prima e del padre dopo e un percorso singolare. Già perché la sua visione del vino naturale è il punto di vista di un enologo, come lei è. Però di un enologo particolare, dal momento che se è consapevole che la scienza ha un ruolo importante allo stesso tempo è convinta che la tecnica non deve prevalere. Mentre parla Elisabetta, la sensazione è quella di essere di fronte ad una persona molto testarda, ma allo stesso tempo con una forte capacità di ascolto. Capacità di entrare in contatto con gli altri per rientrare poi più in profondità con se stessi. Forse per questo le sarebbe piaciuto essere una scrittrice, per raccontare le storie di altri, mettendo in ogni personaggio qualcosa di sé. Per lei il suo non è un mestiere, ma un modo di vivere. Anche per questo forse come dice lei sorridendo ci è arrivata per “disperazione”, nel bisogno di rinnovarsi, cosa che poi ha trasposto anche sul suo vino. La creatività applicata, in una continua ricerca, scoperta e riscoperta, con il fine ultimo di raggiungere quella serenità individuale che poi permette di ottenere i migliori risultati. Dice di essere una privilegiata nel vivere a contatto con la natura, poco importa se il lavoro (e la famiglia) la assorbano completamente, da non trovare nemmeno il tempo di andare dal parrucchiere, tanto per citare un’ordinaria azione. Infine il viaggio si conclude nelle Langhe, a Dogliani, con Nicoletta Bocca dell’azienda vitivinicola San Fereolo. Con lei non ho ancora avuto modo di parlarci, ma è sufficiente sentire come risponde nel documentario a domande come “quali sono le dieci donne del vino più importanti?” oppure “quali sono i miglior dieci vini del mondo?”, per capire il suo approccio. Un approccio, come scrive lei sul suo sito, che è di una persona, arrivata al vino prima come bevitore e perciò senza mai dimenticare le qualità che un cliente affezionato può cercare in un vino. Lei arrivata da Milano senza sapere nulla della campagna, piano piano si è ritagliata uno spazio interpretativo nel suo lavoro, cercando per quanto possibile di dare un senso alla frase “vini con personalità”. Insomma quattro storie diverse, ma che nelle loro diversità trovano proprio punti di comunanza e naturalmente di complementarietà. Un plauso finale va comunque a colei che ha diretto questa pellicola, Giulia Graglia, che ha saputo in modo spontaneo e naturale, raccontare queste quattro storie di vita.