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“Salvare una vita umana diventa un atto d’amore sconfinato con il mondo”. Le parole sono quelle di un medico. Le emozioni sono quelle di un dottore. All’anagrafe Claudio Marcello Costa. Per gli amici e per tutti gli appassionati di motomondiale è il “dottor Costa”. Nel 1976 ha fondato la clinica mobile. Nella vita ha interpretato un sogno.
Non è facile fargli delle domande. Non perché sia ritroso nel rispondere, ma perché è un piacere, stare in silenzio ed ascoltarlo in un suo libero esternare di pensieri. L’intera telefonata è un susseguirsi di ricordi, sensazioni e vibrazioni di sentimenti. Un discorso pacato in continuo equilibrio tra la bellezza di una straordinaria vita vissuta e la profondità di alcune cicatrici ben impresse nell’anima da dolorosi episodi.
La figura del padre è ricorrente. Non potrebbe essere diversamente. Figlio di Francesco “Checco” Costa, che ha fatto la storia del motociclismo agonistico moderno, organizzando alcune delle gare più importanti a livello internazionale ed ideatore del Circuito di Imola, Claudio ne è l’interprete di un sogno inteso come progetto di esistenza terrena. Papà Checco, laureato in agraria, ma con la passione per i motori ben conosceva i rischi di correre su delle potenti due ruote. È così che il giovane Claudio si ritrova con due divieti. Il primo è quello di fumare. Il secondo, di andare in moto. Però gli indica una missione. Occuparsi del “salvataggio” dei piloti che corrono in pista. Claudio fa sua questa indicazione e la interpreta nel migliore dei modi. Si laurea in medicina con tre specializzazioni, Clinica ortopedica e traumatologica, Fisio-chinesiterapia ortopedica e Medicina dello Sport. Proprio al Circuito di Imola inizia a prestare i propri soccorsi come medico di pista. Mette a disposizione tutta la sua professionalità al servizio dei piloti. Competenze mediche che nel suo caso non posso scindere da quelle umane. Con la sua profondità d’animo riesce a curare sia le ferite fisiche, ma non solo.
Geoff Duke, Franco Uncini, Graziano Rossi, il papà di Valentino, sono solo alcuni dei piloti che sono stati da lui soccorsi. Ma ben presto Claudio Costa, il dottor Costa diventerà un riferimento per generazioni diverse di piloti del motomondiale. Mentre parla, traspare nelle sue parole una piacevole serenità. Quel gesto di far risorgere un pilota è pregno di gioia. Mentre cerca di sorvolare su alcuni degli accadimenti tragici che comunque caratterizzano uno sport come questo. Ci riesce. Fino ad un certo punto però. Quando si arriva al un passato recente come la morte di Marco Simoncelli fa una pausa. “Ho cercato di darmi una risposta. Abbiamo cercato insieme alla sua famiglia di darci una risposta”. È qui che mi accenna alla sacralità – “Il mondo ha bisogno della sacralità. Una sacralità che va oltre la ragione. Dove nel ricordo c’è la possibilità, l’illusione di sconfiggere quello che è l’oblio e poter decantare l’eterno”.
Questa componente di cercare con il proprio lavoro di aggiungere vita ai piloti, proprio con la clinica mobile ha trovato un importante tassello di immortalità. Un automezzo appositamente pensato e studiato per interventi medici rapidi a piloti infortunati. Era il primo maggio del 1977 quando questa idea di Claudio Costa ha trovato forma e sostanza, debuttando al GP d’Austria di Salisburgo. Da allora la clinica mobile è sempre stata presente in tutti i circuiti dove si sono tenute gare di motomondiale. Con lei, proprio il suo artefice il dottor Costa, sempre pronto a dispensare cure ed anche sorrisi.
Da quest’anno però Claudio Costa ha deciso di fare un passo indietro. Ha designato il suo successore. Michele Zasa, trentaquattro anni e pronto a portare avanti un progetto illuminante. Chiedo al dottor Costa cosa stia facendo ora e lui sospirando mi dice: “Alla mia età mi sto guardando dentro… ripercorro ciò che ho fatto… contento di averlo fatto e sperando di averlo fatto al meglio”. D’istinto mi verrebbe di rispondergli “su questo non può avere dubbi”, ma mi trattengo. Glielo dirò la prossima volta. Perché voglio risentirlo. Voglio incontrarlo. Ascoltare le sue parole è stato un piacevole regalo. È proprio vero che è un dottore. Fa stare bene chi lo ascolta.
Arrivederci dottor Costa!