Sono le 10.23 sul Lhotse a quota 8.516 metri quando arriva Tamara Lunger. Chissà cosa ha provato la ventitreenne altoatesina quando dalla quarta cima più alta del mondo guardava il panorama che la circondava.
La storia di Tamara è un sogno che si realizza. Lei che è nata tra le montagne, lei che ama le montagne, lei che ha sempre desiderato scalare un 8.000, per lei quel fatidico giorno è arrivato.Campionessa di scialpinismo e realtà dell’alpinismo moderno, Tamara Lunger dal suo amato Alto Adige ne ha fatta di strada. La maggior parte in salita, ma è questo che piace a lei. Che siano gare, che sia il vivere la montagna, la fatica non la spaventa, anzi le riempie il cuore di gioia.
La raggiungo telefonicamente il giorno dopo il suo rientro in Italia. Sono curioso, voglio capire che cosa può spingere una giovane ragazza a compiere una sfida così importante. Voglio conoscere le motivazioni di Tamara. Voglio sentire le emozioni che stanno dietro alla realizzazione di un sogno.
“Tamara cosa pensava la tua mente e cosa vedevano i tuoi occhi quando sei arrivata sulla vetta del Lhotse?”
“La mia mente era più calma di quanto mi aspettassi. Mi è anche scesa una lacrima, ma non mi sono lasciata andare alle emozioni. Più che altro avevo fretta di fare alcune belle foto. Non guardavo tanto nemmeno il panorama. Eravamo in cima in sette, tantini per quella piccola piazzola della vetta, e ognuno voleva fare le sue foto e poi era ora di iniziare la discesa, perché dovevamo andare ancora fino a campo 2. Ma comunque la mia mente era distesa, finalmente, dopo questo lungo periodo di attesa, periodo che non amo molto trascorrere…”
“Ma ti sei resa conto in quel momento che stabilivi un record, la più giovane alpinista femmina a scalare la vetta nepalese?”
“Sì lo sapevo che sarei stata la donna più giovane a scalare quella montagna. Ma mentre andavo su con altre due donne, non pensavo a questo, mi sentivo una donna come altre che voleva scalare quella montagna…”
“Quand’è stato il momento in cui hai capito che avresti potuto farcela?”
“Avevo tanti dubbi durante il periodo di preparazione, anche perché avevo tanti problemi di salute sia prima sia durante la spedizione. Poi era morto anche un russo. Ma cercavo sempre di concentrarmi sulle mie forze fisiche e mentali. Già quando sono partita da casa sapevo che ce l’avrei potuta fare, salvo qualche imprevisto. Il giorno quando sono partita per la vetta dal campo base ero già convinta che ce l’avrei potuta fare.”
“Invece non c’è mai stato un momento nel quale ti sei chiesta ‘chi me l’ha fatto fare’?”
“Solo quando è morto il russo. Lì pensavo se quello era veramente il mio sogno. Ma poi ho preso sherpa e ossigeno utili in caso di emergenza e ho ripreso coraggio.”
“Per chi non è alpinista o comunque è lontano dal mondo della montagna questo tipo d’imprese potrebbero sembrare troppo rischiose. Dal tuo punto di vista cosa ne pensi e quali precauzioni adotti?”
“Io non sono una ragazza paurosa. È la mia passione e quindi sono sicura in quello che faccio e che voglio fare. Vado in montagna non con paura, ma con rispetto e prudenza. Se mi viene la paura so, che devo tornare indietro, altrimenti il corpo si blocca e fai difficoltà a proseguire.”
“Com’era composta la spedizione e come sei stata accolta nel gruppo?”
“Il gruppo era composto da Simone Moro, Denis Urubko e Aldo Garioni. Mi sentivo molto bene. Mi hanno ammesso in maniera molto amichevole, perché all’inizio ero nel gruppo dei russi, ma dopo aver fatto il trekking con loro mi hanno preso nel loro gruppo, con mia gioia, perché li conoscevo già, mentre dei russi non conoscevo nessuno.”
“Questa tua avventura è nata quasi per caso. Un giorno hai conosciuto il grande talento bergamasco dell’alpinismo Simone Moro e vi lasciate con una frase che poteva rimanere solo una frase di circostanza “… un giorno di porterò in Nepal…”, invece la promessa è stata mantenuta. Mi racconti un po’ di questo incontro e cosa ha rappresentato per te?”
“Ho conosciuto Simone al mio ballo di maturità, sua moglie era la mia professoressa di ginnastica della scuola media. Lei mi conosceva e sapeva che sono una che vuole dare sempre il massimo e sapeva anche, che la montagna è molto importante per me. Con lei sono andata ad arrampicare per la prima volta. Io ero contentissima di questa stima e speravo di poter andare prima o poi con lui. Ma sapevo che sarei andata in spedizione solo dopo averlo conosciuto bene, non mi piacciono le spedizioni commerciali”.
“Credi che farete altre spedizioni insieme?”
“Chissà? Con Simone ho fatto già una spedizione l`anno scorso e… vedremo.”
“Tu hai sempre amato la montagna. Per un ragazzino che ama fin da piccolo il calcio ci sono degli idoli, degli atleti ai quali vorrebbe assomigliare. Nel tuo caso, c’è stato qualche alpinista al quale ti sei ispirata o comunque che ti è stato da esempio?”
“Gerlinde Kaltenbrunner, Ines Papert e Simone Moro. Gerlinde è veramente una donna speciale, lei arrampica sempre con stile alpino, fa vie nuove, vie difficili e splende come il sole, veramente un personaggio che mi piace tanto, anche di carattere.”
“Sei stata anche campionessa di scialpinismo, però se non sbaglio le prime gare non disputate, ma alle quali hai solo assistito erano quello di tuo papà in rampichino. E’ vera questa cosa?”
“Sì è vero. Ero sempre lì con tanto entusiasmo e con tutta la mia famiglia. E cosi è nata anche la mia passione per lo sport. Anche mio papà è un mio idolo, quest`anno ha vinto di nuovo la Sellaronda (gara di ski alpinismo in coppia con Guido Giacomelli) e negli ultimi anni era sempre uno dei primi nella coppa del mondo di ski alpinismo. Ho imparato tante cose da lui, sia tecnicamente sia mentalmente. È molto forte e sono molto orgogliosa di lui.”
“Parlami un po’ di te. Quando non sei impegnata in queste “passeggiate” in alta quota cosa fai?”
“Frequento l`università di scienze motorie a Innsbruck e d`estate lavoro al Rifugio Croce di Latzfons gestito dai miei genitori. E poi mi alleno .”
Parlando con Tamara vengo contagiato dal suo entusiasmo, dalla sua energia. Ho la sensazione di parlare con una protagonista di una fiaba, anche se si nota che il suo spirito sognatore è ben saldo alla realtà della sua vita. Ecco, forse il sottile equilibrismo sta proprio lì, nel vivere una vita come fosse una favola.
“Tamara da dove ti arriva tutta questa energia che riesci serenamente a trasmettere?”
“Già da bambina mi ripetevo che un giorno avrei voluto la vita più bella del mondo. Ora ho trovato quello che voglio fare nella mia vita e ho deciso di farlo finchè mi sarà possibile. E sono felice, perché so, che solo poche persone hanno la possibilità di fare quello che vogliono fare. Ricevo cosi tanta energia dai bei momenti in montagna, che la gente mi dice che splendo come il sole. Queste parole mi fanno cosi felice, che mi viene ancora più felicità e cosi sono capace anche di far felice altre persone.”
“In questa tua cavalcata nel fare quello che ti piace, quali saranno i tuoi prossimi progetti?”
“Il progetto più importante è di fare questo che mi fa stare bene e poi ho voglia di ritornare in Nepal in Settembre per fare altri due 8000. Il progetto sarebbe Cho Oyu e Shisha Pangma, ma devo saperne di più, devo organizzarmi durante l`estate. E anche i pensieri a questi miei progetti futuri mi danno di nuovo forza, energia e felicità.”
E’ difficile staccarsi da Tamara, perché quando racconta delle sue scalate, in un certo senso sembra di essere lì con lei. Prima di salutarci mi dice che raggiungerà i genitori nella baita che gestiscono, per aiutarli durante l’estate. Chissà se avremo modo di vederci lassù. Intanto con questa immagine di una montagna che mette in pace con il mondo, faccio i miei migliori in bocca al lupo a Tamara Lunger, sicuro che ci risentiremo molto presto per nuove ed entusiasmanti missioni.